LA CORTE D'APPELLO Con sentenza in data 14 marzo 1994 il pretore di Bassano del Grappa assolveva Sinancevic Ismet dal reato di cui agli artt. 624, 625 nn. 2, 5 e 7 c.p., contestatogli come commesso in concorso con Vucetic Vladimir e Nurkovic Avdulah per non avere commesso il fatto. Premetteva il pretore che i tre imputati, arrestati in flagranza per il suddetto fatto-reato, avevano formulato richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.c.p.; tuttavia, mentre per il Vucetic e il Nurkovic sussistevano indizi, gravi, precisi e concordanti, perche' gli stessi erano stati sorpresi nell'atto di spingere a mano un'autovettura sottratta poco prima al proprietario con i fili dell'accensione manomessi e con, sul sedile anteriore destro, un'autoradio prelevata da altro veicolo in sosta, cio' non valeva per il Sinancevic che, al momento del fermo, "si trovava al posto di guida e poteva non avere ancora notato la descritta manomissione, pur apparendo certamente sospetta la circostanza che questi, al solo scopo di coadiuvare i coimputati nel tentativo di rimettere in moto l'autovettura, a suo dire, in buona fede, avesse parcheggiato la propria auto alla distanza di circa 150 metri e, all'apparenza, in posizione occultata"; si imponeva dunque l'assoluzione del Sinancevic ex art. 530, comma 2, c.p.p. Appellava il p.g. presso la Corte d'appello di Venezia osservando non essere minimamente credibile, contro l'evidenza della prova, ne' la protesta d'innocenza dell'imputato ne' la tesi difensiva di essere stato egli occasionalmente fermato dai connazionali per aiutarli ed intendendo lo stesso allontanarsi una volta accortosi che l'accensione del motore era stata manomessa; al contrario, il Sinancevic, che era stato sorpreso al posto di guida, non poteva non essersi reso conto dell'evidente manomissione dell'accensione in area-volante; la responsabilita era vieppiu' accentuata dal fatto che la vettura dell'imputato era stata parcheggiata, in posizione defilata, proprio nelle vicinanze dell'auto rubata e cio' in contrasto con l'assunto della natura estemporanea dell'aiuto dato ai connazionali. Chiedeva dunque dichiararsi l'imputato colpevole del reato di furto contestato con condanna alla pena richiedenda dal p.g. d'udienza. Cio' posto e premesso che, a norma dell'art. 444 c.p.p., il parametro che legittima il giudice cui sia fatta richiesta di applicazione della pena, a pervenire ad assoluzione dell'imputato, e' quello rappresentato dalla previsione dell'art. 129 c.p.p., sicche', al di fuori dei casi in cui sia possibile, in via di mera constatazione e senza valutazioni comportanti apprezzamento delle emergenze processuali (vedi Cass. 13 aprile 1996, n. 458, Trebeschi), ritenere l'insussistenza del fatto ovvero la non commissione dello stesso ad opera dell'imputato ovvero ancora le residue ipotesi di cui alla predetta norma, il giudice e' tenuto ad accogliere, nella ricorrenza dei restanti presupposti, il "patteggiamento" formulato, rileva la Corte che nella specie, caratterizzata, come desumibile dalla motivazione della gravata sentenza, da pronuncia, in sede di richiesta di applicazione di pena, di assoluzione per insufficienza di prove ex art. 530, comma 2 c.p.p., laddove si pervenisse, conformemente alla richiesta del p.g. appellante, ed in riforma della sentenza del pretore, a condanna dell'imputato, lo stesso verrebbe inevitabilmente "privato" della diminuente di pena collegata alla pur tempestiva richiesta di applicazione formulata in primo grado; ne' potrebbe la Corte (tenuta per effetto del principio del devoluto, a confermare la pronuncia assolutoria per insufficienza di prove ovvero, al contrario, a riformare, come richiesto dal p.g. appellante, la medesima provvedendo ad irrogare la relativa sanzione) procedere, in difetto di previsione normativa sul punto, in ipotesi di ritenuta responsabili'ta' nel merito dell'imputato, peraltro richiedente, quale presupposto indefettibile, un'istruzione dibattimentale mai svoltasi in precedenza (non potendo ovviamente essere utilizzati gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero), ad applicare la richiesta pena come invece previsto, in capo al giudice di primo grado od in capo allo stesso giudice dell'impugnazione, nelle ipotesi di ingiustificato dissenso del p.m., dall'art. 448 c.p.p.. Ritiene allora la Corte che l'impossibilita' di fare ricorso nella specie ad una norma analoga a quella di cui sopra non possa non integrare una non giustificabile disparita' di trattamento normativo di situazioni che, per essere caratterizzate tutte dalla rivelatasi, a posteriori, ingiustificata mancata applicazione della pena con conseguente "confisca" per l'imputato della diminuzione di pena ricollegata alla richiesta di patteggiamento, appaiono tra loro analoghe. Consegue pertanto a quanto detto sin qui la non manifesta infondatezza dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 448 c.p.p. nella parte in cui lo stesso non prevede il potere del giudice d'appello di provvedere, in ipotesi di ritenuta responsabilita' penale dell'imputato che, a fronte di richiesta di applicazione di pena in prima istanza sia stato assolto, alla irrogazione della pena come richiesta. Detta questione appare infine rilevante dipendendo dall'applicazione in un senso o nell'altro della norma investita la commisurazione della pena.